Donne assetate di vita, in cerca di figli e occasioni a tutti i costi. Uomini impegnati tutto il tempo a filosofeggiare. “Donne che vogliono tutto” è una storia esilarante messa nero su bianco da Rosario Galli e portata in scena da Luigi Russo. Al teatro dell’Orologio dal 30 novembre, lo spettacolo racconta un gentil sesso in preda all’ingestibile senso di onnipotenza. Dopo il successo di “Uomini sull’orlo di una crisi di nervi” e “Chi lo ha detto che gli uomini preferiscono le bionde”, i personaggi di Galli tornano sulle scene con tutta la loro ironia e la loro carica realistica.
“Una storia di donne, alcune donne ovviamente, con l’ansia di fare tutto, senza tregua, senza respiro; e di uomini che invece perdono tempo a parlare di… Epicuro! Pensate un poco, Epicuro il filosofo? Sì!” è il commento dell’autore-attore dello spettacolo. Alla regia Luigi Russo: “I protagonisti di “Donne che vogliono tutto” danzano all’interno di una scenografia tutta colorata, proprio come i pupazzetti delle patatine, parodiando la realtà e mettendo alla berlina tic, vizi e virtù dei nostri tempi. Raccontare storie divertendosi e divertendo è, per me, il mestiere più bello del mondo”.
Divertimento quindi, misto a riflessione: le protagoniste vanno alle terme, si sottopongono a massaggi relax, girano in bicicletta per le campagne, mangiano paiata con papà e cercano fidanzati non troppo impegnativi. Ma vogliono un figlio, un figlio a tutti i costi e sono disposte a ricorrere a qualsiasi metodo per averlo, anche a cinquant’anni, anche quando l’età biologica è stata superata. L’intrattenimento si mescola a tematiche di stretta attualità. Un finale aperto per lasciare il giudizio conclusivo allo spettatore: è giusto anteporre i propri desideri al naturale corso della vita?
In scena Rosario Galli, Pia Engleberth, Patricia Vezzuli, Gabriele Galli e Danila Stalteri. I costumi sono di Nicoletta Sammartano, la scenografia di Giovanni Receputi, il disegno luci di Stefano Blasi. Le foto di scena sono di Alberto Martinangeli, mentre l’organizzazione è di Carlo Dilonardo.
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